La finanza sostenibile incentiva gli investimenti in aziende e progetti rispettosi del pianeta e delle persone. E la BCE chiede un database unico per le informazioni ESG.
I temi
- Di cosa parliamo quando parliamo di finanza sostenibile
- Il nodo valutazione
- Un database unico per le informazioni ESG: la proposta della BCE
Il termine sostenibilità è entrato da tempo nel nostro vocabolario. E lo ha fatto anche nel mondo della finanza, con un impatto notevole. Alle potenzialità della cosiddetta finanza sostenibile si guarda infatti con sempre maggiore interesse: per il fondamentale aspetto etico, naturalmente, ma anche per gli effetti generati sul mercato. Gli investimenti sostenibili e responsabili (SRI) crescono di anno in anno a livello globale: secondo i dati del Global Sustainable Investment Alliance (GSIA, l’organizzazione internazionale che mira ad aumentare l’impatto e la visibilità degli investimenti sostenibili su scala mondiale) nel 2018 il capitale complessivo investito seguendo queste strategie toccava già quota 30,7 miliardi di dollari, con una crescita del 34% in due anni e un balzo del 25% sul biennio precedente.
Ma cosa significa, esattamente, finanza sostenibile? È ancora il GSIA a darne una definizione: si tratta di “quell’insieme di strategie di investimento che considerano i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nella composizione e gestione di portafoglio”.
La sigla ESG (Environment, Social e Governance) è di fondamentale importanza: evidenzia infatti i tre indicatori attraverso i quali viene definito il grado di virtuosità in ambito sostenibile di una azienda. Con l’indicatore Ambiente (Environment) viene valutata la performance legata alle strategie di riduzione dell’inquinamento e delle emissioni, l’attenzione per i cambiamenti climatici e le pratiche per ridurre le deforestazioni e gli sprechi. Nell’ambito del Sociale (Social) è considerato l’impegno ad agire rispettando i diritti dei lavoratori e della comunità in cui si opera, mentre con Governance si indica l’attuazione di buone pratiche a livello societario.
Semplificando, si può dire dunque che l’obiettivo della finanza sostenibile è quello di spostare gli investimenti verso realtà e progetti che possano garantire il rispetto del pianeta, delle sue risorse e delle persone. Un obiettivo facile a dirsi, ma più complesso a realizzarsi all’atto pratico.
Uno dei nodi principali riguarda l’effettiva capacità di valutare il grado di sostenibilità di un’impresa e di un investimento. I motivi? La difficoltà ad accedere ai dati originari in ambito ESG, la maggiore percentuale di controllo che gli advisor hanno sul patrimonio informativo, ma anche la scarsa disponibilità di informazioni a livello aziendale e la mancanza di uno standard con cui raffrontare le diverse analisi in ambito ESG.
Da qui la proposta della Banca Centrale Europea di creare un database per la gestione delle informazioni ESG: di fatto, un grande archivio accessibile a tutti, in cui trovare informazioni corporate, inclusi i dati non financial, che permetterebbe di valutare anche l’impegno aziendale nell’ottica della sostenibilità.
Un primo, decisivo, passo in questo senso è stato compiuto nei giorni scorsi. Il 10 marzo è entrata in vigore la prima parte del Regolamento sulla trasparenza della finanza sostenibile (SFDR) che prevede che i soggetti destinatari – ovvero banche, assicurazioni, Sgr, consulenti, fondi pensione e altri – inseriscano nei loro siti web l’apposita informativa precontrattuale che illustra le modalità di integrazione dei rischi di sostenibilità nelle politiche di investimento.
Un cambiamento per molti versi epocale, poiché sancisce la stretta correlazione tra sostenibilità e processi di investimento e, di conseguenza, come il fattore “green” possa incidere, positivamente o meno, sulla redditività degli investimenti stessi.