L’anno che le imprese si sono lasciate alle spalle è stato terribile ma alla luce degli ultimi report trimestrali sulla congiuntura, il settore metalmeccanico sembra aver retto bene l’onda d’urto. La pandemia da Covid ha colpito duro ma alcune imprese hanno saputo contenere meglio i possibili danni. Ad accusare più il colpo sono state le industrie legate al settore siderurgico, a quello dell’automotive, dell’elettrodomestico e l’aeronautico.
Non per nulla al Ministero dello Sviluppo economico, al 31 marzo, risultavano aperti 99 tavoli di crisi: 52 nazionali per aziende sopra i 200 dipendenti e 47 regionali. In totale, secondo l’osservatorio della Fim-Cisl, si parla di 55.817 lavoratori coinvolti. Alcuni dossier, soprattutto regionali, sono in attesa di soluzioni strutturali e giacciono al Mise da anni: si tratta di crisi storiche per le quali non c’è mai stata continuità d’impegno al cambio di governo o l’investitore si è rivelato inaffidabile.
Sul tavolo del ministro Giancarlo Giorgetti ci sono fascicoli che riguardano ad esempio l’ex Ilva, definito dalla Fim “la madre di tutte le vertenze”. Ma la siderurgia italiana arranca da tempo e lo testimoniano i casi dell’ex-acciaieria di Piombino – oggi Jsw -, come anche l’ex-Alcoa di Portovesme e l’Acciai Speciali di Terni, messa in vendita da ThyssenKrupp. La crisi innescata dalla pandemia Covid ha peraltro fatto emergere il paradosso del settore siderurgico, tradizionalmente di importanza strategica per un Paese a forte vocazione manifatturiera come l’Italia. Imprese dell’acciaio e dell’alluminio, sindacati e associazioni di categoria hanno più volte chiesto al governo di inserire il tema in cima alla lisa delle priorità dato che le restrizioni legate all’emergenza sanitaria continuano a creare problemi di approvvigionamento per molte aziende europee ed internazionali. Mentre continua ad aumentare la quota di import da Germania, Russia, Turchia e Cina, il prezzo dell’acciaio è più che raddoppiato in sei mesi: da settembre 2020 si è passati da 40 centesimi a un euro al chilogrammo.
Hanno riempito i notiziari anche le battaglie sindacali nel comparto dell’elettrodomestico che, dopo la ristrutturazione partita dagli anni Novanta, ora si trova in grave difficoltà per il calo dei consumi, la sfrontata competitività asiatica e la mancanza di solidi investimenti. Esempio lampante è la Whirlpool, la cui vertenza è scattata dagli stabilimenti di Napoli e si è diffusa in tutti gli impianti italiani della multinazionale statunitense.
Settori in panne
E se la crisi del settore aeronautico è maggiormente legata all’andamento dell’emergenza sanitaria – date le restrizioni ai viaggi -, quella dell’automotive dipende sia dal crollo del mercato 2020, sia dalla rivoluzione “green” alla quale partecipano tutti i Paesi dell’Ue. La transizione ecologica infatti passa per il cambio radicale delle lavorazioni e degli impianti produttivi.
Alle storiche vertenze Blutec di Termini Imerese e della ex-Irisbus, andrebbero aggiunte la chiusura della filiale abruzzese di Honeywell (340 dipendenti) e la Cassa integrazione alla Stellantis di Melfi. Passando in rassegna i 99 tavoli aperti al Mise, a livello locale balzano all’occhio le situazioni problematiche della ex-Merloni (340 dipendenti) in Umbria, della Dema in Puglia (198), della Bosch di Bari (1800) e della ex-Embraco (720 dipendenti tra Piemonte e Veneto).
La zona grigia delle Pmi
Per un quadro il più possibile completo sulla situazione della metalmeccanica, appare quindi chiaro che ai tavoli di crisi nazionali si dovrebbero sommare decine di piccole fonderie e impianti di laminazione sparpagliati in tutt’Italia che sono in concordato o in crisi conclamata. Esiste tutta una serie di piccole e medie imprese tra i 15 e i 20 dipendenti per le quali non sono aperti tavoli ma che stanno maggiormente accusando la crisi.
“Sfuggono al Report le imprese che nel 2020 sono fallite sotto la scure della crisi o quelle che sfuggono al radar perché non sindacalizzate – spiega il segretario generale Fim Cisl, Roberto Benaglia -. La maggiore concentrazione di situazioni di crisi è nel Mezzogiorno e nelle Isole maggiori, l’area del Paese che maggiormente necessità di politiche industriali che puntino alla modernizzazione delle infrastrutture e investimenti che aiutino le imprese a fare il salto tecnologico. Non ci aspettiamo certo che le cose si risolvano con la bacchetta magica, ci vuole dialogo e collaborazione Per questo chiediamo al governo una presa in carico di queste crisi re-introducendo al Ministero l’Unità di crisi. Serve concentrare maggiormente gli sforzi, risolvere le vertenze storiche in termini di politiche industriali e di filiera, sgravi, liquidità e investimenti, per dare la possibilità a queste aziende di superare quest’anno e agganciare la ripresa e mantenere i livelli occupazionali”.