Un’applicazione dell’intelligenza artificiale che impatta sulla vita degli utenti ed è utilizzata dai colossi dell’informatica: sfrutta l’accumulo di informazioni interconnesse tra loro.
I temi
- Deep Learning: una definizione
- Come il nostro cervello
- Un po’ di storia
- Deep Learning: dove si applica
Deep Learning: una definizione
Pur senza conoscerne – con ogni probabilità – l’esatto significato, da utenti molto spesso si ha a che fare con quello che viene definito Deep Learning. Dal riconoscimento dei soggetti nelle immagini alla gestione delle preferenze del consumatore online, passando per il filtraggio delle ricerche su web o sui social network, fino al riconoscimento automatico della lingua parlata o all’elaborazione del linguaggio naturale: ambiti ai quali sono state applicate le architetture di Deep Learning.
Ma di cosa si tratta? Prendendo in prestito la definizione dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il Deep Learning è la branca più avanzata del Machine Learning (la disciplina che insegna alle macchine a compiere azioni naturalmente, come esseri umani) e raggruppa un insieme di tecniche basate su reti neurali artificiali organizzate in diversi strati. Il Deep Learning “costruisce” un’informazione, dopo che ogni strato calcola i valori per quello successivo, rendendola via via sempre più completa. Per semplificare, si tratta di un apprendimento (learning) approfondito (deep) da parte delle macchine, che avviene mediante l’utilizzo di algoritmi.
Come il nostro cervello
Il Deep Learning “imita” il comportamento del cervello biologico: funziona classificando e selezionando dati ogni volta più rilevanti e propedeutici a una risposta, proprio come il nostro cervello agisce quando deve risolvere un problema, rispondere a una domanda, formulare un’ipotesi, utilizzando le connessioni neurali e i neuroni biologici di cui è in possesso. Soltanto che, quelle sfruttate dal Deep Learning, sono reti neurali artificiali, create su modelli di calcolo matematico e informatico ispirati al funzionamento delle reti neurali biologiche.
Si crea così un sistema, basato su informazioni interconnesse tra loro: un sistema che sa adattarsi e modificare la propria struttura, imparando su più livelli. I livelli sono noti anche come layer: le reti neurali tradizionali ne nascondono due o tre, quelle del Deep Learning oltre 150. Un sistema che anziché ingolfarsi per le troppe informazioni (a differenza del Machine Learning) aumenta le proprie prestazioni con l’aumentare dei dati.
Un po’ di storia
1958. Sfogliando il New York Times, un americano legge della creazione di una rete neurale artificiale chiamata Perceptron e alimentata da un computer grande quanto una stanza. Altro non è che l’antenato del nostro Deep Learning, accolto con un entusiasmo tale da teorizzare la nascita di computer così evoluti da essere in grado di camminare e avere una propria coscienza.
Ad assemblare Perceptron era stato un psicologo, Frank Rosenblatt: la macchina, però, era tutt’altro che perfetta e solo negli anni Ottanta gli informatici Hinton e LeCun pubblicarono uno studio ad hoc per insegnare alle reti neurali a correggere gli errori. Tuttavia, è la tecnologia dei giorni nostri ad aver permesso sviluppi di rilievo, merito anche dell’ingresso in campo dei giganti dell’informatica.
Deep Learning: dove si applica
Quali sono gli effetti tangibili che il deep learning può avere nella vita di tutti i giorni? Un ambito in cui questo tipo di conoscenza può essere applicato è la diagnostica medica: il concetto di rete neurale potrebbe infatti ampliare sensibilmente il pacchetto di conoscenze del medico. O ancora, il deep learning ha molti margini di intervento nella guida automatica di veicoli: potenzialmente le operazioni che possono essere elaborate in un solo secondo dalla computer vision delle automobili automatiche sono infinite.
Un altro settore è quello del controllo di qualità dei prodotti: le grandi distribuzioni potrebbero utilizzare questo strumento per ottimizzare la produzione di merci. Infine, sono soprattutto i colossi dell’informatica a servirsene: da Google a Yahoo, fino a Microsoft e Facebook, con l’obiettivo di dare agli utenti sempre più possibilità e al tempo stesso di catalogarli attraverso i loro interessi, o limitarne l’uso se necessario.