La chiamano “un’operazione romantica” la decisione di acquistare la loro azienda dopo averla venduta anni prima a Nicotra Gebhardt, in un’operazione finanziata dai fondi GE Capital e Ares Capital . E così, a 79 anni, Corrado Maveri insieme al fratello Massimo (77) sono di nuovo alle redini delle Industrie CBI. Una scelta in controtendenza, fatta alla fine del 2019, qualche mese prima che scoppiasse anche in Italia la pandemia di Covid-19. La salute dell’impresa, che prima della vendita contava 200 dipendenti e un fatturato di 65 milioni, era seriamente compromessa dopo anni di mala gestione e per i Maveri il futuro che si prospettava per il Gruppo era inaccettabile. Così sono scesi in campo di nuovo, questa volta per salvare la realtà di famiglia, fondata a Monza nel 1963 e diventata leader in Europa per la produzione di ventilatori industriali con cinque stabilimenti produttivi, sei filiali in tutto il mondo e più di 23mila ventilatori prodotti ogni anno. Piani per il futuro? Gestire al meglio il cambio generazionale all’ interno all’azienda. E, non venderla mai più.
Cominciamo dalla fine. Negli ultimi mesi del 2019 ha scelto di salvare la sua azienda che aveva ceduto nel 2013. Quali sono le ragioni che l’hanno spinta a rimettersi in gioco di nuovo?
La definirei un’operazione romantica. L’azienda avrebbe avuto un futuro non semplice e una sorte non felice. E per me e per mio fratello Massimo questo era inaccettabile: si tratta della società di famiglia.
Lo rifarebbe?
Certamente.
Ha ripreso le redini delle Industrie CBI qualche mese prima che la pandemia mettesse in ginocchio molti comparti produttivi. Come siete riusciti a rispondere alla crisi?
Quando abbiamo preso l’azienda era in una situazione disastrosa. Abbiamo nominato il Dott. Dario Melò AD per tutto il Gruppo, abbiamo lanciato un piano di ristrutturazione molto severo e venduto uno dei nostri stabilimenti (quello di Gissi (CH), ndr). Nella sfortuna, del Covid, abbiamo avuto un vantaggio sulla concorrenza, perché il nostro piano di ristrutturazione è partito nel gennaio 2020 e questo ci ha dato una capacità di reazione più rapida quando si è verificato il crollo di mercato dovuto all’emergenza sanitaria.
Dall’India all’Egitto: Cbi ha un’anima internazionale. Qual è l’assetto attuale della vostra galassia produttiva?
Produciamo un’ampia gamma di ventilatori e servizi per le applicazioni industriali. Oggi il Gruppo è composto da Industrie CBI, con due fabbriche in Italia, da CBI Engineering & Service con una fabbrica in Italia, da CBV con una fabbrica in Belgio e da CBDoctor (joint venture) con una fabbrica in India.
Abbiamo poi una sede commerciale in Francia, CBI France ed una sede n Spagna, CBI Espagna. Contiamo poi due licenziatari che producono i nostri ventilatori in Egitto ed in Cina.
Cosa la rende più orgoglioso di questi mesi alla guida di CBI?
Vedere il personale tornare ad essere motivato, trovare confermata la grande credibilità del Gruppo sul mercato esterno ed essere certo che oggi, dopo neanche due anni, l’azienda naviga in acque tranquille.
Quali sono le sfide che interessano principalmente il futuro di Industrie CBI nei prossimi cinque anni? Quali le direttrici di sviluppo?
Dopo sette anni di assenza, in cui a regnare è stata la staticità mentre il mondo andava avanti, l’obiettivo è rafforzare il nostro progetto di rilancio, recuperando il terreno perso e puntando sull’adeguamento dei processi produttivi in linea con la crescita digitale e le ultime innovazioni tecnologiche. Altro obiettivo è strutturare il passaggio generazionale per dare continuità all’azienda. La mia situazione anagrafica e quella di mio fratello impongono delle scelte. Dal mese di ottobre sono entrate nel Gruppo due valide risorse della famiglia Maveri: il Dott. Ruggero Ceriani, attuale direttore generale, con un futuro da Ad, e l’ingegnere Jacopo Maveri che sta formandosi nel settore tecnico. Per quanto riguarda lo sviluppo, l’obiettivo dei prossimi anni è aumentare la nostra posizione sul mercato e aumentare la nostra gamma di prodotti.
La vocazione all’innovazione è stata, fin dall’inizio, la forza di Industrie CBI e la sua cifra distintiva. Quali, se ci saranno, i prossimi investimenti in termini di Ricerca e Sviluppo?
Abbiamo riaperto, con un team di giovani ingegneri, il reparto di Ricerca e Sviluppo, che era stato dismesso, dotandolo di avanzati sistemi informatici e di una sala collaudi all’avanguardia. Questo riporta CBI all’attitudine delle origini, con un taglio molto ingegneristico e focalizzata sullo sviluppo del prodotto.
Industrie CBI è tra i principali produttori di ventilatori industriali del panorama europeo, quali sono i driver di crescita del comparto, a livello globale, nei prossimi anni?
L’orizzonte è roseo. I costruttori di ventilatori italiani sono molto dinamici e stanno invadendo tutti i paesi europei e del medio-oriente. L’industria italiana, con la sua flessibilità e qualità, ha quindi ottime possibilità in termini di esportazione. Il mercato è vasto: il ventilatore è un prodotto trasversale e non esiste impianto industriale che non abbia bisogno di ventilatori.
Come giudica il contributo alla ripartenza contenuto nel Recovery Fund?
Si tratta del primo passo. Sono fiducioso che le dichiarazioni di intenti si traducano in azioni concrete condotte in modo positivo. La mia personale preoccupazione è legata principalmente alla distribuzione delle risorse quando arriveranno alle periferie, ovvero ai comuni e alle province, e ai passaggi burocratici per accedervi.
La sua storia è un grande esempio di abnegazione e amore per la propria azienda. C’è un messaggio che vuole lasciare a chi fa impresa oggi, in Italia?
Noi non abbiamo fatto nulla di eccezionale, qualunque imprenditore si sarebbe comportato esattamente come noi. La decisione che abbiamo preso è una naturale conseguenza del legame profondo che ci lega all’Azienda e a tutti i nostri Collaboratori.