L’automotive sta vivendo una profonda crisi: la pandemia, la scarsità e l’aumento del costo delle materie prime amplificano i problemi in un settore già privo di una visione strategica da parte del Governo per affrontare la transizione tecnologica ed ambientale. Lo dichiarano in una nota congiunta Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive, e Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom-Cgil.
Il confronto con il 2019, anno prima della pandemia, fotografa una situazione di netto declino. Nel 2021 la produzione nel settore ha perso il 9,4% e le immatricolazioni sono diminuite di circa il 24%, ad aumentare invece è il costante ricorso agli ammortizzatori sociali e il conseguente impatto negativo sui salari delle lavoratrici e dei lavoratori. Dall’elaborazione di dati INPS, infatti, registriamo che nel 2019 erano oltre 26 milioni di ore di cassa integrazione, ma il dato allarmante è che fino a novembre del 2021 le ore di cassa integrazione sono raddoppiate, arrivando a quasi 60 milioni.
Con lo sblocco dei licenziamenti il settore dell’indotto automotive, che occupa circa 163 mila lavoratori, è stato quello più colpito come dimostrano i casi di Gianetti Ruote, GKN, Timken, Speedline, Caterpillar. A queste crisi già aperte rischiano di aggiungersi gli esuberi alla Vitesco di Pisa, alla Bosch di Bari e alla Marelli, in particolare negli stabilimenti legati ai sistemi di scarico e ai motori endotermici. Mentre per la Blutec siamo in ancora in attesa di una soluzione per il rilancio industriale e la continuità occupazionale del sito di Termini Imerese, e di una garanzia occupazionale per gli altri asset. In questo scenario occorre dare continuità al rilancio di Industria Italiana Autobus prevedendo ulteriori investimenti per il rinnovo delle flotte pubbliche con mezzi prodotti nel nostro Paese.
Situazione complessa riguarda gli stabilimenti del Gruppo Stellantis in cui c’è un sostanziale calo dei volumi produttivi. A fronte di una capacità istallata di un milione e mezzo di veicoli, attualmente se ne producono solo 700 mila. Nel Polo Torinese i volumi delle Maserati e della 500 Bev non bastano a saturare gli stabilimenti e a garantire la stabilità occupazionale. Nello stabilimento di Cassino i volumi delle Alfa non raggiungono la piena occupazione e non basterà il lancio del nuovo modello Grecale della Maserati. Per Pomigliano e Nola oltre alle garanzie per la della produzione della Panda (veicolo più venduto in Europa) per raggiungere la piena occupazione occorrerà verificare i volumi produttivi del Tonale. Il costante calo del mercato diesel impone di affrontare la transizione verso nuove produzioni per gli stabilimenti di Pratola Serra e Cento. A Termoli, dove si producono motori e cambi a benzina, la tenuta occupazionale si dovrà verificare con il consolidamento dei volumi del nuovo motore GSE 1.0 e con l’installazione della gigafactory ancora non confermata. Negli stabilimenti Sevel e di Melfi, che partivano da una condizione produttiva positiva, assistiamo ad una drastica riduzione dei volumi, rispettivamente, del Ducato e delle Jeep Renegade e Compass nonostante gli investimenti per le linee elettriche.
È per tali ragioni che la Fiom ha convocato gli attivi dei quadri e dei delegati del settore che si svolgeranno in tutte le Regioni con una campagna di assemblee territoriali, dal titolo ‘Safety CAR’, per l’individuazione di un percorso unitario di mobilitazione nazionale, affinché il settore possa continuare a garantire un futuro occupazionale ed industriale nel nostro Paese.
La situazione di crisi è anche rappresentata dal fatto che pochi anni fa eravamo ai primi posti nella produzione di auto in Europa, mentre ora il nostro Paese è sceso all’ottava posizione.
Un piano straordinario sul settore dell’automotive è la proposta che Fiom avanza al Governo, perchè metta a disposizione investimenti e strumenti per la trasformazione industriale e l’innovazione, il rilancio della ricerca e dello sviluppo, sostegni alla domanda privilegiando i redditi più bassi e il rinnovo delle flotte pubbliche, la salvaguardia, la crescita e la rigenerazione dell’occupazione. In assenza di questo Piano sono a rischio decine di migliaia di posti di lavoro e il mantenimento di un settore industriale fondamentale per l’economia del nostro Paese.