Dal 2017 si è andato sempre più consolidando l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui le spese di sponsorizzazione effettuate a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche sono considerate, per presunzione assoluta, spese di pubblicità e non di rappresentanza, se non superano l’importo annuo di 200.000 euro.
Il principio è stato sancito dall’art. 90, comma 8, della Legge 289/2002, poi confluito nell’art. 12, comma 3 del D. Lgs. 36/2021.
“Il citato articolo 90 ha stabilito che le spese sostenute per promuovere il nome, il marchio o i prodotti dello sponsor tramite enti sportivi dilettantistici sono pienamente deducibili dal reddito d’impresa. Si tratta di una presunzione assoluta, non contestabile dal Fisco – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – a patto che vengano rispettati i requisiti previsti. Il soggetto deve essere una Asd o Ssd, la sponsorizzazione deve essere finalizzata alla promozione dell’immagine o dei prodotti dello sponsor, il costo complessivo non deve superare i 200.000 euro annui e il soggetto sponsorizzato deve aver svolto una effettiva attività promozionale per conto dello sponsor”.
“La Circolare n. 21/2003 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, benché le spese di sponsorizzazione godano di una presunzione assoluta di deducibilità – prosegue Baldino – deve sempre essere dimostrato che le somme erogate sono destinate a una reale attività promozionale”.
In altre parole, il Fisco non può sindacare le scelte imprenditoriali in merito alla sponsorizzazione, ma può verificare che l’attività promozionale sia effettivamente svolta.