Il caso del licenziamento di persona indagata

In base al Codice Antimafia, la decisione della Cassazione

iStock 1303997113 1 scaled

L’ordinanza n.2803/2025 della Corte di Cassazione ha ribadito che l’amministratore giudiziario di un’azienda sequestrata, in base al Codice Antimafia, può procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro con un dipendente indagato senza il rispetto delle garanzie procedimentali previste per il licenziamento disciplinare. È essenziale, però, che il provvedimento di recesso sia adeguatamente motivato.

“Il caso ha avuto origine dalla contestazione della legittimità di un licenziamento avvenuto nell’ambito di una misura di prevenzione – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili -, applicata a un’azienda coinvolta in un’indagine per traffico illecito di rifiuti. Il dipendente licenziato risultava indagato nell’ambito del procedimento”.

La Corte d’Appello aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore e il pagamento di un’indennità risarcitoria.

“I Supremi Giudici, cassando la sentenza di secondo grado – prosegue Santomauro – hanno chiarito che il Codice Antimafia è improntato alla tutela dell’ordine pubblico e alla gestione funzionale delle aziende sequestrate e che l’amministratore giudiziario ha il potere di risolvere i rapporti di lavoro, previa autorizzazione del Giudice, senza l’obbligo di applicare le garanzie del licenziamento disciplinare. Inoltre, hanno ricordato che la decisione di risoluzione del rapporto non è un provvedimento punitivo, ma un atto funzionale alla corretta gestione dell’azienda sequestrata e che il licenziamento è legittimo purché sia adeguatamente motivato”.