Andamento 2024, turismo da record ma industria in calo

Il Centro Studi di Confindustria analizza gli aspetti economici dei vari comparti

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Il Centro Studi Confindustria ha pubblicato il report “Congiuntura e previsioni” relativo ai primi mesi del 2024.
In linea generale, secondo il documento è possibile affermare che, seppur l’economia italiana sia in crescita, questa condizione non vale per tutti i settori: il turismo è infatti da record, bene i servizi ed export netto, mentre l’industria va male. Nel periodo gennaio-marzo la produzione di questo settore e i consumi di beni si sono infatti contratti, a fronte di un Pil cresciuto dello 0,3%.

Dal punto di vista dell’inflazione, in Italia è rimasta bassa in aprile (+0,8%): il calo dei prezzi energetici si è attenuato (-12,1% annuo, da -24,7% a fine 2023), mentre quelli core frenano (+2,1%). Nell’Eurozona, tuttavia, la discesa si è fermata (+2,4%), con la core alta (+2,7%) rispetto alla soglia del +2,0%. Nel mese di aprile è scesa, per il secondo mese, la fiducia delle famiglie e gli ordini delle imprese che producono beni strumentali, dunque il secondo trimestre non si apre sotto i migliori auspici. In calo anche le vendite al dettaglio: -0,1% nel mese e -0,4% nel primo trimestre.

Per quanto riguarda l’industria, a marzo si è avuta un’ulteriore flessione di RTT, dopo quella lieve di febbraio; insieme al calo delle scorte, ciò è coerente con la riduzione registrata dalla produzione (-0,5% a marzo, -1,3% nel primo trimestre). Per aprile, indicatori tutti negativi: l’HCOB PMI è scivolato di nuovo in area di contrazione (47,3 da 50,4); l’indagine rapida CSC mostra un lieve peggioramento delle attese sulla produzione; continua l’altalena, su bassi livelli, della fiducia delle imprese manifatturiere. Forte calo inoltre dell’import italiano di beni (-2,8% in volume), più di quello dell’export (-0,8%): ciò dà un contributo positivo al Pil e aumenta il saldo commerciale (+12,8 miliardi di euro). Il commercio mondiale nei primi due mesi ha ristagnato (-0,1% sul 4° 2023).

L’ultimo numero del report presentava un focus sui trasporti via mare. Per quanto riguarda i canali di trasmissione per l’Italia, l’aumento dei noli impatta sul prezzo dei beni importati e sulla competitività dei prodotti italiani, sia direttamente sia indirettamente, cioè attraverso il costo e la disponibilità di materie prime e semilavorati acquistati all’estero. Nel primo trimestre del 2024 circa un terzo delle imprese manifatturiere ha subito ritardi nell’approvvigionamento di input o maggiori costi di trasporto (indagine sulle aspettative di inflazione e crescita di Banca d’Italia). Ciò pesa anche sui conti con l’estero, perché l’industria italiana spesso delega la gestione della catena logistica alla controparte estera. Il trasporto via mare riguarda una gran parte degli scambi italiani, soprattutto dal lato delle importazioni: quasi il 60% degli acquisti dall’estero in volume (il 35% in valore); tali  flussi via mare provengono in larghissima parte da mercati extra-Ue. Rispetto a un sotto-insieme di 39 Paesi  asiatici e medio-orientali collocati oltre il Canale di Suez, lo scambio di beni (import + export) con l’Italia nel 2023 è stato quasi un terzo del totale con l’extra-Ue; l’esposizione aumenta considerando solo le importazioni italiane (40% sul totale extra-Ue) e in particolare quelle via mare (quasi il 50%).

Il Csc ha stimato, tramite le tavole Input-Output, l’effetto dell’aumento del costo del trasporto marittimo sui prezzi alla produzione dei singoli comparti manifatturieri, derivante sia dagli input produttivi importati, sia dalle interrelazioni tra i settori domestici. Sulla base delle variazioni rilevate nei costi di shipping, si è stimato che l’aumento nei costi di trasporto marittimo ha effetti moderati, in aggregato, sui prezzi alla produzione nel manifatturiero, pari in media a un +0,9%, ma con importanti differenze settoriali. Chimica e metallurgia sono i comparti dove le variazioni nei prezzi all’import degli input hanno un effetto maggiore, rispettivamente di +3,6% e +3,4%. Tale effetto è comunque compensato, al momento, da una spinta deflattiva proveniente dalla Cina su alcuni manufatti. I prezzi all’import in Italia registrano infatti un -1,6% nel primo trimestre 2024 sul quarto trimestre 2023.