Con la sentenza n.21059/2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che la pena patteggiata per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è suscettibile di annullamento nel giudizio di Cassazione, ai sensi dell’art. 448 ccp, quando l’imputato non ha estinto il debito tributario con il pagamento delle sanzioni amministrative e degli interessi, e neppure risulta applicata la confisca.
Nel caso in esame, il gip del Tribunale di Bergamo, con sentenza di patteggiamento, ha applicato all’imputato la pena di un anno di reclusione per il reato ex art.2 D.Lgs n.74/2000.
“Il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Brescia – evidenzia Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – ritenendo la violazione di legge, sia per l’assenza dei presupposti per l’applicazione della pena su richiesta delle parti sia per il mancato ordine di confisca ex art. 12-bis D.lgs. n. 74/00, ha instaurato il giudizio di legittimità, ottenendo un verdetto a sé favorevole”.
“Annullando la sentenza emessa dal Gip ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – prosegue Rosignoli – la Suprema Corte ha affermato che in tema di reati tributari la preclusione al patteggiamento posta dall’art. 13 bis, comma 2, del citato D.lgs. n. 74 per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento comporta una pena illegale e risulta possibile il ricorso ex art. 448, comma 2, codice procedura Penale”.
Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso della Procura Generale anche per l’omessa confisca obbligatoria, in quanto questa comporta una pena illegale.