La transizione verso fonti pulite subisce una pesante battuta d’arresto in Italia. Enel, che gestisce 5 degli 8 impianti da rottamare, non riceve le autorizzazioni per dismetterli e sostituirli con quelli a gas. Il tempo, però, stringe: a partire dal 2023 spetta proprio al colosso dell’energia soddisfare il fabbisogno per il nord Italia.
I temi
- Ricavare elettricità da gas e rinnovabili
- I pericolosi ritardi delle istituzioni
Ridurre le emissioni nocive e sostituire i combustibili fossili con fonti alternative: due obiettivi che l’Unione Europea si è posta fin dai primi anni duemila. Il percorso per raggiungere questi traguardi, tuttavia, si è rivelato spesso accidentato. Tra le minacce principali, la burocrazia dei singoli paesi. Anche l’Italia alla fine del 2019 ha fatto un primo passo in questa direzione, approvando il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec). L’ambizioso progetto puntava a rivoluzionare, in chiave green, la politica energetica e ambientale italiana. Già entro il 2025, in particolare, si era stabilito di dismettere tutte le centrali a carbone responsabili della produzione di energia elettrica. Al loro posto, in attesa di poter contare su infrastrutture eoliche e solari sufficienti, si sarebbero installati nuovi impianti a gas.
Protagonista assoluta di questo processo è stata Enel, responsabile di 5 delle 8 centrali a carbone presenti nel nostro Paese. A un anno e mezzo dall’annuncio, rispettare le scadenze fissate è già un’utopia per il colosso energetico. Da una parte Terna (Gestore della rete italiana ad alta tensione) non concede le autorizzazioni per dismettere alcune centrali: su tutte quella di La Spezia. Dall’altro, di conseguenza, slittano anche i tempi per la realizzazione dei nuovi impianti a gas. Uno stallo altamente pericoloso, considerando che proprio Enel si è aggiudicata l’asta per fornire energia al sistema anche a partire dal 2023.
Ricavare elettricità da gas e rinnovabili
L’obiettivo di Enel nel lungo periodo è quello di puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico. L’impossibilità di disporre nel beve periodo di un numero sufficiente di queste infrastrutture, tuttavia, ha spinto l’azienda a sviluppare un piano su due livelli, che coinvolge altre tecnologie.
Per staccare dalla rete le centrali a carbone, infatti, Enel ha previsto di costruire, affiancandoli a rinnovabili e batterie, anche alcuni impianti a gas. La loro vita tuttavia dovrà essere limitata. Questo perché anche il gas, sebbene meno inquinante del carbone, è un combustibile fossile che genera emissioni nocive. L’insieme di queste fonti Enel, è stato calcolato, sosterrà il cosiddetto «capacity market»: la domanda di energia elettrica generata nel nord del nostro Paese nel 2023.
Il primo passo per rinnovare la rete è lo smantellamento dei vecchi impianti Enel, che rappresenta un crocevia decisivo nella cosiddetta phase out del carbone in Italia. L’azienda controlla infatti gli impianti di La Spezia, Fusina (Venezia), Civitavecchia, Brindisi e Sulcis in Sardegna. Ben 5 degli 8 presenti sul territorio nazionale. Al momento, però, solo la centrale Federico II di Brindisi, la più grande del paese, è stata chiusa a gennaio 2021.
I pericolosi ritardi delle istituzioni
Il piano di Enel sta accumulando pericolosi ritardi già in fase di dismissione degli impianti a carbone. La prossima tappa prevista è la chiusura della centrale veneziana di Fusina in estate, mentre per La Spezia e Civitavecchia ci vorrà ancora del tempo, come spiegato dal direttore Italia di Enel Carlo Tamburi. «Per quanto riguarda la centrale ligure», ha specificato «il problema nasce dal fatto che il ministero dello Sviluppo economico, su indicazione di Terna, ha detto no alla dismissione dell’impianto in assenza di una capacità aggiuntiva nell’area di 500 Megawatt». Secondo le istituzioni, insomma, il fabbisogno dell’area non sarebbe coperto senza la centrale di La Spezia.
«Alla fine dell’anno però», ha proseguito Tamburi «scade l’autorizzazione integrata ambientale che consente all’impianto di funzionare e visto che per allora non saremo riusciti a realizzare con il gas la capacità richiesta bisognerà trovare un compromesso». In altre parole, il ministero dello Sviluppo economico impedisce di chiudere l’impianto, mentre quello dell’Ambiente lo farà chiudere in ogni caso il 31 dicembre del 2021. Una data entro cui non sarà realizzata alcuna centrale a gas sostitutiva. Enel rischia così di vedersi revocato da Terna il contratto del capacity market per l’area coperta dagli impianti di La Spezia e Venezia, con validità a partire dal 2023.
Sostituire con successo gli impianti a carbone entro il 2025, ad oggi, sembra un obiettivo impossibile ai vertici Enel. Una flebile speranza, però, arriva dalla nascita del ministero della Transizione ecologica col governo Draghi. «Qualcuno dovrà dirimere la controversia tra il ministero dello Sviluppo economico e il ministero dell’Ambiente» ha dichiarato Tamburi. «Da questo punto di vista il nuovo ministero della Transizione ecologica aiuterà perché ci sarà un unico interlocutore».