La revisione del Codice degli appalti “offre al Paese l’occasione di intervenire sulla regolamentazione dei contratti pubblici e delle gare d’appalto, ed è un passaggio fondamentale per gestire al meglio i fondi messi a disposizione nella cornice del Pnrr e per garantire il rilancio dell’economia italiana e il raggiungimento degli obiettivi di modernizzazione del Paese”, eppure “contiene un incomprensibile errore nel testo che mette a rischio le nostre infrastrutture e le nostre imprese”. La denuncia arriva da Anima Confindustria, che ricostruisce i passaggi della vicenda.
La normativa europea indica la necessità di respingere qualsiasi offerta presentata per l’aggiudicazione di un appalto di forniture nel caso in cui i prodotti provenienti da Paesi Terzi superino il 50% del valore totale dell’offerta. Tuttavia, il Codice italiano, sia quello in vigore, sia il testo di riforma all’esame del Parlamento, prevede che sia sufficiente un’autodichiarazione da parte della stazione appaltante per il superamento di tale vincolo, una norma, dice Anima, “che da lungo tempo si è rivelata inefficace nel garantire le adeguate tutele per le eccellenze nazionali ed europee, al punto da suscitare perfino la pubblicazione nella G.U. dell’Unione Europea 2019/C271/02 di linee guida descrittive le distorsioni commerciali, ma anche ambientali e sociali, prodotte da alcune offerte anormalmente basse dai Paesi terzi, e comportanti la raccomandazione alle stazioni appaltanti di applicare il respingimento di offerte con oltre il 50% di prodotti provenienti da Paesi terzi”. Questo nonostante la Legge delega per la riforma del Codice indichi esplicitamente che, in sede di riforma, il Governo debba prevedere il ricorso da parte delle stazioni appaltanti per almeno il 50% dei prodotti a forniture italiane o europee.
Il testo attuale del Codice, dice il presidente Marco Nocivelli, “ci lascia sconcertati e ci preoccupa profondamente per la mancanza di tutela del Made In manifatturiero italiano ed europeo, tutela che nelle audizioni preparatorie alla revisione del Codice sembrava invece essere stata ben compresa e da rinforzare”. L’articolo regolante le offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi “è invece adesso del tutto identico a quello che li regolava nel Codice ad oggi in vigore, ignorando non solo le richieste del mondo produttivo italiano, ma quanto previsto dalla stessa Legge delega su cui si poggia il futuro Codice”. Nel caso in cui questa disposizione non sia rivista “si perderebbe anche un’occasione storica per tutelare le imprese italiane ed europee contro la concorrenza sleale dei Paesi terzi e per garantire la qualità delle forniture nelle nostre infrastrutture critiche, come ad esempio gli acquedotti e le fognature”.
Rendere esplicita una clausola di salvaguardia o una sanzione, dice ancora Nocivelli, “migliorerebbe in modo sostanziale la qualità delle infrastrutture realizzate, gestite e manutenute, innescando un circolo virtuoso nell’economia italiana. In tutti bandi pubblici, infatti, le aziende italiane ed europee possono vantare un sensibile valore aggiunto in termini di occupazione e di qualità rispetto ai competitor extraeuropei. Infine il ritorno economico dell’aggiudicazione di appalti pubblici, specie finanziati dal Pnrr, ad aziende nazionali si può riversare positivamente non solo sulla finanza delle aziende italiane, ma anche sulle finanze statali deputate a rimborsare il debito contratto per i finanziamenti del Pnrr”.