Con la sentenza n.26473/2024, la Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema degli effetti dell’accertamento di utili ‘in nero’ per i soci di una società a ristretta base partecipativa.
In particolare, la decisione si è concentrata sulla legittimità della presunzione secondo la quale gli utili extracontabili accertati in capo alla società si presuppongono distribuiti ai soci, salvo prova contraria.
“I Supremi Giudici hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, osservando che la sentenza della CTR non aveva adeguatamente considerato l’onere della prova. Non è sufficiente, infatti – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – la semplice produzione di documentazione bancaria per dimostrare l’estraneità alla gestione o la mancata percezione degli utili extracontabili”.
La sentenza ha anche ribadito che la prova dell’estraneità alla gestione societaria deve essere precisa e rigorosa.
In questo specifico caso, la documentazione bancaria generica non era sufficiente a superare la presunzione.
“La Suprema Corte ha infine respinto la tesi del contribuente secondo cui la ristretta base societaria non sarebbe più un elemento sufficiente a legittimare la presunzione di distribuzione degli utili in nero – conclude Santomauro – sostenendo che la modifica dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, introdotta dalla L. n. 130 del 2022, non incide su tale presunzione”.
Questa sentenza si colloca nel quadro di un’evoluzione giurisprudenziale in cui si è affermata la possibilità per il socio di vincere la presunzione semplicemente dimostrando la propria estraneità alla gestione.