Si temeva un contraccolpo micidiale, ma la solidità delle imprese, la qualità della produzione e l’intervento degli ammortizzatori sociali hanno contenuto le perdite. La meccanica ha retto bene all’urto con l’emergenza Covid che ha paralizzato interi settori del Made in Italy. Lo conferma Bruno Fierro, vicepresidente di Anima-Confindustria, che però mette le mani avanti: “Ora non dobbiamo correre il rischio di vedere i nostri sforzi resi inutili da azioni di inflazione, come l’aumento dei prezzi della logistica internazionale, come ad esempio nei trasporti navali, frutto di una volontà di rialzo che non ha nulla a che vedere con il mondo industriale”.
A un anno dalla pandemia qual è la situazione economica del comparto meccanico italiano?
Possiamo dire che la meccanica italiana ha resistito bene, con perdite contenute rispetto alle previsioni, mantenendo il ruolo di leadership che si era guadagnata negli scorsi decenni. Ovviamente è un settore che ha sofferto, soprattutto la meccanica legata alla filiera dell’Horeca, ma nel complesso le perdite sono state tollerabili. In questo momento storico, la meccanica – come altri settori – sta inoltre fronteggiando il vertiginoso aumento dei prezzi delle materie prime e la loro scarsa reperibilità; l’impennata della domanda sta creando molta difficoltà nel settore. Anima sta continuando a monitorare il tema e l’andamento dei prezzi, supportando le aziende associate e cercando possibili soluzioni al problema.
Quanto potrà incidere il Recovery Fund sulla ripresa dell’economia italiana?
Il Recovery Fund inciderà moltissimo su tutta l’economia italiana. Considerato che buona parte dei fondi europei verrà investita nel settore pubblico, grazie alla quale poter effettuare investimenti di ammodernamento e riqualificazione nell’edilizia, la percentuale di ripresa economica dipenderà anche dall’adozione volontaria dell’Art. 137 del Codice degli Appalti nelle opere pubbliche. Tale articolo deriva da una direttiva europea che raccomanda, in ogni occasione possibile, l’attento controllo delle offerte/forniture con aggiudicazioni che limitino al 50% il massimo importo totale offerto da aziende di Paesi terzi con i quali l’Europa non abbia accordi di reciprocità doganale. Intervenire sulla regolamentazione dei contratti pubblici e delle gare d’appalto attraverso quel rapporto di reciprocità stabilito dall’Art 137 permetterebbe dunque un maggiore ricircolo dei capitali all’interno dell’economia italiana, favorendo la crescita delle nostre aziende.
Il settore dell’industria meccanica quanto ha sofferto?
La meccanica ha sofferto soprattutto durante il primo lockdown, che imponeva la chiusura di molte attività, basandosi sui codici Ateco. Secondo il preconsuntivo dell’Ufficio Studi Anima, la perdita generale di fatturato si è attestata intorno a -10% nel 2020, mentre i posti di lavoro sono diminuiti in una percentuale decisamente minore (-0,1%).
Quali sono le conseguenze di questa sofferenza?
La produzione ha ovviamente subito un notevole rallentamento. Considerata la chiusura forzata del primo lockdown, il comparto meccanico in genere ha dovuto chiudere e ricorrere alla Cassa integrazione. Oltre alle perdite di fatturato, i mesi di chiusura totale del 2020 hanno creato ritardi nelle consegne. In questi mesi stiamo recuperando terreno, proseguendo con questo ritmo e rimboccandoci le maniche riusciremo a recuperare gli ordini entro il 2021.
Investimenti e innovazione sono le due strade per il rilancio?
Assolutamente sì. L’innovazione deve seguire le strade indicate nel Pnrr, quindi sviluppare i propri piani basandosi sui paradigmi della transizione energetica e della sostenibilità ambientale: è lì che si gioca il futuro del Paese. Gli investimenti saranno volti ad aumentare la sostenibilità della meccanica e dell’intera filiera produttiva italiana: questo meccanismo non avrà solo un impatto positivo sull’ambiente e sulle nostre vite, ma su interi settori produttivi, creando una nuova economia in grado di garantire futuro all’industria italiana.
La digitalizzazione diventa necessaria…
La digitalizzazione ormai non è più una scelta, ma una necessità. Sarà incentivata e supportata. Ma bisogna considerare che questa parola sconta un problema non da poco, che è quello della rete: dobbiamo essere molto fermi a richiedere il 5G a tutti i livelli, dalla pubblica amministrazione all’industria fino al singolo cittadino, perché è fondamentale che tutte le strutture siano attrezzate per attuare una vera digitalizzazione del Paese. Se ci fermiamo a riflettere, la “transizione digitale” rappresenta una nuova “rivoluzione copernicana”, dal momento che cambierà per sempre il processo di interazione tra rete e macchina. Ora dobbiamo fare attenzione a come attuare questa rivoluzione: gli investimenti del Paese dovranno creare infrastrutture adeguate e una maggiore diffusione delle conoscenze tecnologiche.
È l’occasione giusta per reinventarsi, abbandonando vecchie abitudini?
Questa è la sfida offerta dalla digitalizzazione, la rivoluzione di cui parlavo. A tutti i livelli bisognerà cambiare alcune “vecchie” abitudini e alcuni gesti (oggi) quotidiani, la nuova normalità implicherà uno sforzo da parte di tutti quanti per adeguarci. L’industria si sta già muovendo in questa direzione, innovazione e digitalizzazione sono un obiettivo a cui stiamo puntando già da tempo.
Qual è a suo parere l’orizzonte temporale per la ripresa?
Vanno fatte due considerazioni in merito. Una di tipo generale che rispecchia le previsioni e la sensazione che abbiamo un po’ tutti: leggendo i dati di oggi, che lasciano immaginare un mondo che avrà risolto la pandemia in pochi mesi, penso al 2023 come anno del totale recupero.
L’altra considerazione implica maggiore cautela e attenzione: esistono diverse modalità di uscire da questa crisi che non porteranno il 100% del recupero economico mondiale. Per esempio, dobbiamo considerare che il virus potrebbe non scomparire totalmente, o che la pandemia potrebbe diventare epidemia in alcune zone del mondo, rendendo quelle stesse zone più difficilmente accessibili. Siamo alle prese con un sistema che sta ripartendo, oggi possiamo fare solo previsioni, senza avere alcuna certezza.
Siamo in ritardo rispetto ai nostri competitor internazionali?
Non mi sento di dire che siamo in ritardo rispetto ai nostri competitor internazionali. Anzi, considerando la situazione che ha vissuto l’Italia, siamo rimasti al pari degli altri Paesi europei. In questo caso ci sta aiutando la struttura stessa dell’industria italiana, costituita da piccole e medie imprese; in molti casi hanno sofferto maggiormente le aziende iper-strutturate, che sono meno flessibili e si sono adattate meno alla situazione. Nonostante una maggiore difficoltà iniziale, in poco tempo la dimensione delle nostre aziende ha permesso di rimanere al pari delle aziende internazionali, adattandosi in un tempo minore alla situazione creata dalla pandemia.
Come se lo immagina il 2030?
Il 2030 sarà sicuramente un anno in cui l’Europa intera produrrà meno emissioni, dovremmo raggiungere l’obiettivo del 55% in meno rispetto al 1990. Anche la mobilità sarà efficiente, collegata a sistemi non inquinanti, e l’idrogeno potrebbe essere la fonte di energia pulita protagonista nel 2030.
Per quanto riguarda il nostro modo di pensare e agire, questa pandemia potrebbe avere modificato alcune nostre prospettive e pensieri. Vi riporto un evento che ho vissuto recentemente. Con la riapertura dei teatri ho acquistato i biglietti per assistere a La Traviata. A 24 ore dall’apertura del botteghino ho trovato i posti in platea disponibili, mentre i palchi erano tutti occupati. Fino allo scorso anno sarebbe avvenuto esattamente il contrario. In poche parole, gli spettatori hanno preferito al posto di platea, con migliore visibilità e acustica, mantenere le distanze e sentirsi più sicuri nel palco. È cambiato il modo di pensare delle persone, bisogna essere resilienti, pronti a cambiare ed a gestire il cambiamento causato dalle nuove esigenze.