L’inizio di attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria (come accessi, ispezioni e verifiche), non impedisce al contribuente di presentare una dichiarazione tardiva, purché venga presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto, indipendentemente dalla posizione di ‘evasore totale’ del contribuente.
Tale dichiarazione però, sarà soggetta alle sanzioni amministrative previste per il ritardo, come previsto dall‘art. 2, comma 7, del D.P.R. n. 322 del 1998.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.23409/2024, relativa a un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, la quale riteneva che, a seguito della verifica, il contribuente non potesse presentare alcuna dichiarazione tardiva, con tutte le conseguenze in ambito sanzionatorio.
“Gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e confermato la decisione della Commissione Tributaria Regionale – sottolinea Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – la quale aveva escluso l’ipotesi di ‘omessa dichiarazione’ che avrebbe giustificato un accertamento induttivo, sostenendo che sia il contribuente verificato che quello non verificato, potessero presentare una dichiarazione tardiva, senza beneficiare di sanzioni ridotte”.
“La Suprema Corte ha anche sottolineato che non esiste alcuna connessione – prosegue Rosignoli – tra la preclusione al ravvedimento operoso derivante dall’avvio di accessi, ispezioni o verifiche e un presunto divieto di presentazione di una dichiarazione tardiva”.