La contabilità parallela non è sufficiente ad accusare l’amministratore di fatto

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione

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In tema di amministrazione di fatto della società, con la sentenza n. 5577/2023 la Corte di Cassazione ha stabilito che la tenuta della contabilità – anche quando si tratta di contabilità ‘in nero’ – non costituisce, di per sé, atto gestorio dell’ente, trattandosi di una mansione esercitabile da un qualsiasi lavoratore dipendente, sicché occorre la prova che, tenendo la contabilità, il soggetto abbia agevolato/favorito/istigato la commissione del reato tributario e, comunque, concorso nella gestione societaria.

“Per la Corte d’Appello di Roma, il ricorrente amministrava di fatto la s.n.c. legalmente rappresentata dalla madre perché gestiva i dati contabili in un computer esclusivamente a lui in uso, all’interno del quale – spiega Guido Rosignoli, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – sono state rinvenute annotazioni contabili dalle quali è emersa una contabilità parallela”.

Gli Ermellini hanno ricordato che in tema di reati tributari, per attribuire la qualifica di amministratore “di fatto”, non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico o occasionale.

“Inoltre – prosegue Rosignoli – è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società”.

Pertanto, in termini generali, la tenuta della contabilità non costituisce, di per sé, atto gestorio dell’ente, nemmeno se si tratta di “contabilità separata”.