La sentenza errata può essere revocata

La decisione della Corte di Giustizia Tributaria di II° grado della Sicilia

iStock 537971779

Ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., la sentenza errata, o comunque viziata da errore di fatto, può essere revocata da un altro giudice di pari grado.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Tributaria di II° grado della Sicilia con la sentenza n.1448/2023, secondo la quale la revocazione costituisce un mezzo di impugnazione delle sentenze a critica vincolata, espressamente disciplinato, anche nel processo tributario dall’art. 64 del D.Lgs n. 546/1992.

Nel caso in esame, il giudice aveva erroneamente stabilito che il contribuente non era percettore di impresa, bensì di reddito di lavoro dipendente, e quindi – afferma Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – non aveva concesso il rimborso delle imposte”.

Secondo l’art. 9, c. 1, lett. cc), d.lgs. n.156/2015 – che ha riformulato il comma 1 dell’art. 64 – «le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’art. 395 del c.p.c.» applicabile a decorrere dal 10 gennaio 2016.

Pertanto, secondo la disciplina odierna “la proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione o il procedimento relativo”.
Ci troviamo quindi difronte ad un duplice errore di fatto. In primis, risulta impropria la qualificazione dell’autodichiarazione come atto tributario e il richiamo della giurisprudenza non è probante e poi – prosegue Buselli – è erroneo l’inquadramento della ricorrente come titolare di redditi di partecipazione, in quanto il collaboratore familiare dell’impresa familiare percepisce redditi di puro lavoro, per giurisprudenza pacifica”.