La Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema del recupero dei compensi professionali non percepiti da parte di uno Studio associato dal punto di vista dell’insinuazione al passivo del fallimento con collocazione privilegiata ex art 2751-bis n.2 c.c.
Con l’ordinanza n.7531/2024, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal legale rappresentante di uno Studio associato di commercialisti che aveva impugnato il decreto con cui il Tribunale aveva respinto la sua opposizione allo stato passivo del fallimento.
“Come evidenzia la sentenza in oggetto, il Tribunale si era limitato a un’analisi parziale della documentazione prodotta a prova contraria della presunzione di non personalità della prestazione – evidenzia Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – non considerando adeguatamente le prove testimoniali richieste e non tenendo conto dell’ampia documentazione attestante che la prestazione risultava effettuata unicamente dall’associato fondatore dello Studio. Pertanto – prosegue Rosignoli – la Suprema Corte ha ribadito il consolidato orientamento secondo il quale la domanda d’insinuazione proposta da uno Studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionali, a meno che non dimostri che il credito sia riferito a una prestazione svolta personalmente in via esclusiva o prevalente dal professionista e sia di pertinenza dello stesso professionista, anche se risulti formalmente richiesto dall’associazione professionale”.