Con l’ordinanza n. 5585/2023, la Corte di Cassazione torna sul tema della tardività del deposito documentale eseguito a ridosso dell’udienza di merito.
Per la Suprema Corte, il termine di cui all’art. 32 del D.lgs. 546/1992, anche in assenza di espressa previsione legislativa, deve ritenersi di natura perentoria, e quindi, sanzionato con la decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice con la conseguenza che resta inibito al giudice fondare la propria decisione sul documento tardivamente proposto, anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva.
I documenti prodotti oltre il termine perentorio e dunque irritualmente acquisiti al processo, non possono essere utilizzati ai fini della decisione, in quanto tardivi.
“L’art. 32 prevede espressamente che le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione, osservato l’art. 24, comma 1, ma spesso accade che l’Ufficio, incurante di tale termine – sostiene Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – si costituisca in giudizio, depositando vari documenti, a ridosso dell’udienza di merito, violando platealmente tale termine perentorio”.
“Di contro, l’art.58 del D.Lgs n.546/1992, permette la produzione di ‘nuovi documenti’ in appello, rendendo in sostanza inutile la limitazione temporale in primo grado. Sul punto, la Cassazione, con l’Ordinanza n. 19368/2021 – conclude Baldino – ha ritenuto possibile la produzione di documenti in appello anche se, in primo grado, sono stati qualificati come tardivi”.