La ‘testa di legno’, ovvero l’amministratore formale di una società che agisce come prestanome, non può essere automaticamente ritenuta responsabile per il reato di bancarotta fraudolenta documentale in assenza di una consapevole compartecipazione nella gestione della contabilità.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.33988/2024, relativa ad un processo che coinvolgeva una moglie e un marito in relazione al fallimento di una S.r.l., in cui la moglie, amministratrice formale, era stata condannata dalla Corte d’Appello di Napoli per concorso in bancarotta fraudolenta documentale.
“La Suprema Corte ha annullato la condanna della Corte d’Appello evidenziando che non è sufficiente la sola carica di amministratore per stabilire una colpevolezza automatica. Anche se l’amministratore formale ha obblighi specifici – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – questo non implica necessariamente che egli sia consapevole delle omissioni o irregolarità nella gestione contabile, specialmente quando la gestione è integralmente affidata all’amministratore di fatto”.
Inoltre, il giudice deve esaminare attentamente i segnali concreti che possano indicare una consapevolezza in capo all’amministratore nominale, e non può limitarsi a considerare la responsabilità come una conseguenza diretta della posizione formale ricoperta.
Infine, la Cassazione ha ritenuto che i giudici di secondo grado avessero basato la condanna della moglie principalmente sulla sua posizione formale di amministratrice e sul fatto che fosse sposata con l’amministratore di fatto.