Simonelli Group: Made in Italy? Chiave per rilanciare l’economia

Per il presidente Ottavi è necessario frenare la delocalizzazione

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La sua prima macchina da caffè risale al 1936 ed è stata annoverata dalla Treccani tra i 90 prodotti che hanno fatto la storia del made in Italy. Oggi Simonelli Group SpA esporta i propri prodotti in 125 Paesi diversi, diffondendo la cultura dell’espresso nel mondo. Per sostenere uno dei settori trainanti dell’economia del Paese, però, occorrono provvedimenti mirati, volti ad alleggerire il carico fiscale sulle imprese, invogliandole a produrre in Italia. Ne abbiamo parlato con Nando Ottavi, presidente della società che, dagli anni Sessanta, non ha mai smesso di credere nell’importanza del made in Italy.

La sua azienda è un’istituzione nella produzione di macchine da caffè. Ci racconta brevemente la sua storia?
Quest’anno Simonelli Group taglia il traguardo degli 85 anni. L’azienda è nata come impresa individuale nel lontano 1936 a Cessapalombo, a pochi chilometri da Belforte del Chienti (Macerata), dove si trova l’attuale sede produttiva e direzionale. A fondarla fu Orlando Simonelli, che all’epoca aveva 29 anni. Lo chiamavano “ingegnere”, ma non aveva frequentato l’università. Sin da giovanissimo aveva infatti maturato una spontanea passione per la meccanica. Un forte interesse che lo portava ad appassionarsi al grande sviluppo tecnologico che si andava diffondendo in Italia e in Europa negli anni tra le due guerre mondiali. Lui, però non si limitava a vivere il suo tempo, voleva piuttosto costruire il futuro, tant’è che dedicandosi alle macchine per caffè non si limitò a produrre ciò che già il mercato offriva, bensì innovava continuamente. Già la prima macchina prodotta e commercializzata aveva aspetti tecnologicamente avanzati, tanto che cinque anni fa l’Istituto dell’Enciclopedia Treccani l’ha indicata tra i 90 prodotti che hanno fatto la storia del design e dell’eccellenza del made in Italy.

Quale è stato il suo più grande successo?
Aver saputo mettere a frutto l’insegnamento che mi diede Orlando Simonelli quando a metà degli anni ‘60 (io allora ero giovanissimo) entrai a lavorare nella sua azienda che aveva già una dimensione industriale, ovvero: non rincorrere la concorrenza, ma cercare di stare sempre un passo avanti. Questo è possibile investendo costantemente nella ricerca, finalizzata a una produzione innovativa e di alta qualità. Lo abbiamo sempre fatto nella produzione del nostro brand “Nuova Simonelli” e da vent’anni lo stiamo facendo anche nel brand ‘Victoria Arduino’, storico marchio italiano nato a Torino nel 1905, che dal 2001 è entrato a far parte di Simonelli Group. Per la loro tecnologia estremamente avanzata e l’affidabilità d‘esercizio, dal 2009 le nostre macchine per caffè sono state alternativamente, ma ininterrottamente, scelte dal WBC, il campionato del mondo dei baristi, come macchine ufficiali di gara.

La sua azienda produce interamente in Italia, ma esporta principalmente all’estero. Quali Paesi raggiunge?
L’export rappresenta attualmente oltre il 90% della nostra produzione. L’internazionalizzazione è stata l’altra grande intuizione che abbiamo iniziato a sviluppare già alla metà degli anni ’70 esplorando mercati – come l’America e l’Oceania – allora ancora digiuni della cultura del caffè espresso e del cappuccino. Il nord America è stato subito reattivo alla novità e nel 1993 negli Stati Uniti abbiamo aperto la nostra prima filiale commerciale, sul confine settentrionale, vicino a Seattle e non lontano dalla costa del Pacifico, in modo da poterci spingere anche in Canada e verso l’estremo Oriente, Giappone e Corea del Sud. Oggi la nostra sede commerciale di Singapore serve un bacino che si estende per tutta l’Asia e l’Oceania che, insieme, rappresentano più del 40% del nostro giro d’affari. Complessivamente, in modo diretto tramite le nostre sedi o indiretto tramite concessionari, i nostri due brand sono commercializzati in 125 Paesi che coprono tutti i continenti.

Quanto ha risentito il vostro settore della crisi dovuta alla pandemia?
Il 2020 è stato drammatico per tutti, ma nonostante il rallentamento generale noi di Simonelli Group siamo riusciti a superare i momenti più difficili senza far ricorso a una sola ora di cassa integrazione. Rimodulando le ferie abbiamo soddisfatto gli ordini che, benché ridotti rispetto al periodo pre-Covid, non sono mancati. I mercati hanno risposto alla pandemia a ‘macchia di leopardo’, perché si è diffusa in modo disomogeneo nei vari Paesi, risentendo anche delle diverse stagioni meteorologiche. Il fatto di avere clienti sparsi in tutti i continenti ci ha in parte consentito di lavorare – benché in misura ridotta – tutto l’anno.

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E il 2021 come sta andando?
Nel 2021 le cose stanno andando molto meglio e oltre ogni più rosea previsione. Il primo semestre si è chiuso con un più 50% di produzione e fatturato rispetto allo stesso periodo del 2020 e a fine estate siamo sull’ordine del fatturato del 2019. Probabilmente chiuderemo il 2021 con una crescita del 15% rispetto all’anno pre-Covid (2019). Benché il mercato sia ripreso, dobbiamo fare i conti sia con l’aumento dei prezzi di alcune materie prime, ma soprattutto con un forte rallentamento per quanto concerne l’approvvigionamento di alcune componenti elettroniche.

Quali sono i piani di sviluppo post emergenza che ha individuato per la sua azienda?
Durante la pandemia abbiamo avuto più tempo per dedicarci alla ricerca e allo studio di nuovi prodotti, mettendo a punto nuove tecnologie che stiamo introducendo, sia nelle macchine per caffè, sia nei macinacaffè. Alla fiera Host di Milano di fine ottobre dedicata al mondo della ristorazione e dell’accoglienza, Simonelli Group presenterà nuovi modelli, tutti innovativi e frutto di studi sul piano della tecnologia e della ricerca sui materiali, in grado di accrescere sostenibilità ed efficienza energetica. Siamo certi che i nostri mercati risponderanno bene a queste novità che vanno sulla scia della nostra tradizione.

Come vede la sua azienda di qui a 10 anni?
La vedo in crescita perché il mondo del caffè espresso e del cappuccino ha ancora grandi potenzialità e l’intera filiera ha ormai preso coscienza di una cultura e di un costume che si vanno sempre più diffondendo in tutte le aree del mondo. Crescono i consumatori di caffè, ma soprattutto crescono all’estero coloro che pongono più attenzione alla qualità e Simonelli Group ha l’offerta giusta per loro.

Cosa dovrebbe fare il governo, secondo lei, per rilanciare il settore dell’industria meccanica?
Il settore manifatturiero rappresenta il pilastro della bilancia commerciale italiana e al suo interno il comparto della meccanica è trainante. Pertanto aiutare con interventi strutturali la competitività della meccanica italiana – sia in relazione ai Paesi più industrializzati d’Europa (penso alla Germania), sia ad altri Paesi extraeuropei – significa dare una forte spinta a tutta la nostra economia.
I provvedimenti su cui concretamente il governo dovrebbe spingere per sostenere il comparto meccanico non sono dissimili da quelli necessari anche per gli altri comparti industriali. Penso innanzitutto a quelli che possono sostenere e salvaguardare il made in Italy, che è il brand più importante del nostro paese e che riguarda tutto il settore manifatturiero. Tutto ciò che è made in Italy è oggi prezioso nel mondo. Noi di Simonelli Group, che trattiamo ogni giorno con i mercati esteri e che produciamo esclusivamente il 100% in Italia, ne siamo testimoni. Quindi occorre intervenire affinché le aziende investano in Italia, senza delocalizzare la produzione e possibilmente invogliare capitali esteri a investire da noi. Per disincentivare le tentazioni a delocalizzare e agevolare la nascita in Italia di nuove imprese occorre prioritariamente intervenire sul miglioramento delle infrastrutture (ferroviarie, portuali, ecc) ma soprattutto telematiche ed eliminare i passaggi burocratici inutili e dispendiosi, attraverso la semplificazione amministrativa e normativa, ma anche assicurando certezza delle leggi a lungo termine. Inoltre, è fondamentale provvedere a una defiscalizzazione. Questi tre campi di azioni sono quelli che veramente possono ‘allentare il freno a mano’ sulla nostra economia e sul nostro settore. Poi ci sono altri interventi che riguardano il miglioramento del settore industriale e che possono dare impulso alla competitività (altrettanto necessaria) tra imprese nel mondo ormai globalizzato. Mi riferisco a interventi e incentivi per la sostenibilità, l’economia circolare, la digitalizzazione, la riqualificazione energetica, i processi di innovazione in chiava 4.0 ed altri di cui si parla da anni.

Cosa ne pensa di Recovery Fund e Pnrr?
Si tratta di una grande opportunità a cui il governo deve prestare massima attenzione e dedicarvisi con priorità, perché è un’occasione irripetibile e vitale per l’Italia e per il nostro sistema produttivo.